La Maledetta Casa Elettrica

Ho scritto quanto segue in risposta a tutte le bugie che sono state scritte e lette su Marco,

il giorno del suo funerale in quella chiesa da suo fratello.

Fiction versus fiction.


La Maledetta Casa Elettrica

un racconto di Serena S.

(Madhouse Autoproduzioni – gennaio 2025)

È insopportabile l’idea della notorietà post-mortem, ne abbiamo parlato spesso e la mia opinione non è mai cambiata, non so quanto tu mi abbia presa sul serio ma è davvero una di quelle cose che riesce a svegliare la Miss Hyde che è in me e per cui scaglierei in direzione del mio pubblico postumo non so quali e quanti terribili anatemi e poi, soprattutto… Che cosa spinge le persone a disinteressarsi alle cose dei vivi per poi appassionarsi a quelle dei morti? Ma David Bowie, in vita, aveva tutti questi fans? Ne siamo sicuri?

Trovo questo modo di agire e di sentire molto irritante, non sono più riuscita ad ascoltare un album dei Nirvana dopo la morte di Kurt (sì, sono tra quelle persone che può chiamarlo semplicemente per nome) e mi ricordo un anno fa, un pomeriggio in cui ci siamo confidati un sacco di cose e abbiamo affrontato gli argomenti più disparati, sembravano buttati lì a caso e invece non lo erano.

Io ti raccontavo di come fosse avvilente che i miei racconti non trovassero riscontro e che fossero state così poche le persone che avevano avuto voglia di dirmi cosa pensavano degli ultimi che avevo pubblicato.

“Se mi ignorano ora spero che faranno altrettanto anche dopo che me ne sarò andata per sempre, perché finalmente non avrò più bisogno di niente e di nessuno”.

Parlammo poi di altri temi delicati che avrei dovuto tenere più in considerazione in quel momento terribile che, poi ci ha separato per sempre, anche se io “al per sempre” non ci credo e ancora non mi sono arresa, anzi…

Erano anni ormai che, nonostante la tua buona intenzione di “schermarmi” da certe tue questioni e da certi personaggi, mi confidavi l’ansia e i timori che quel tuo fratello disgraziato ti infondeva.

In questi mesi tante volte ho pensato e urlato al vento che avrei dovuto prenderti più sul serio e invece cercavo di rassicurarti: quei tuoi timori riguardavano un futuro ancora lontano in cui, semplicemente, sarebbe intervenuta la giustizia e tutto si sarebbe sistemato e poi… “succederà tra cento anni, non ci pensare”.

Sento il verso dei corvi e non posso non provare vergogna per la mia leggerezza, proprio verso chi mi ha sempre affiancata in tutte le battaglie e, mi ha sempre detto di non arrendermi mai di fronte alle difficoltà, anche quelle che ti nascono nella testa…

Per me questo suo fratello era solo un sempliciotto represso a cui la Natura non aveva dato molte doti; mi era stato insopportabile in molte occasioni e altrettanto insopportabile mi era stata la tua tolleranza nei suoi confronti visto il rispetto che meritavi e, non per il legame di sangue e anagrafico, ma per le tante cose che avevi fatto per lui (potrei citare quella volta che mi hai tolto il portatile per darlo a lui e potrei fare un lungo elenco di cose che ha avuto da te senza mai dimostrarti la minima riconoscenza, insieme a decine di brutti momenti che ti hanno fatto passare anche i tuoi genitori a causa sua), ma per me era ed è soprattutto un estraneo e non ero tenuta a considerarlo parte della mia vita, per te era diverso e, in generale, la seconda occasione la dai a tutti per questioni antropologiche, a tuo fratello ne hai date un’infinità di occasioni ma stavi arrivando finalmente al capolinea. Non me l’avevi detto ma si capiva da un milione di cose e, forse non sono stata l’unica a capirlo, purtroppo…

Ho vissuto così tante settimane, che poi sono diventate lunghi mesi, sopportando tante parole inopportune e affilate come stiletti, in uno dei periodi meno felici della mia esistenza, in cui non ero completamente lucida né nelle condizioni di poter attaccare per difendermi perché a malapena respiravo, ma le persone sono crudeli e se lo sono con tanta facilità è perché non sono intelligenti e, di conseguenza, non sanno che cosa significa soffrire, provare dolore e soprattutto, voler bene.

Di tuo fratello parlavi come di un malato, mi dicevi che soffriva di qualche sindrome legata alla personalità, al senso di inferiorità, all’ego e quindi lo compativi e sopportavi ma, per me è solo un bugiardo, uno sgarbato, un povero represso che ha dovuto aspettare la morte del proprio fratello per avere quattro pagine di notorietà, sul palco di quella brutta chiesa frequentata da ipocriti e rincoglioniti.

Tutte quelle persone che hanno ascoltato in silenzio, tutte le insicurezze che mi porto dietro da una vita, io sempre sola contro tutto e tutti, a volte mi hai detto che i tuoi amici non mi avevano accettata perché avevano paura di me ma io, non ero molto convinta e nonostante le sofferenze che questo mi aveva procurato in passato… l’avevo superato e, un anno fa, ti dissi che se mi avessero detto i motivi per cui tante volte mi avevano umiliata e maltrattata, ne avrei fatto materiale da costruzione per i miei racconti e li avrei anche ringraziati, la tua risposta fu: “non lo faranno mai perché non hanno le palle”. Bene, sono felice di aver avuto accanto una persona che invece mi diceva le cose brutte al pari di quelle belle perché, in questo modo, so che sono dalla parte del giusto ora e forse, anche prima.

Il bel mondo non mi interessa più, non siamo più liberi come quando ci siamo conosciuti, oggi anche prendere un treno non ha più il fascino di quel tempo che abbiamo condiviso e là fuori tutto è diventato più brutto, hanno vinto gli idioti, quelli che abbiamo sempre cercato di allontanare dal nostro quotidiano, quello che soprattutto te hai sempre cercato di redimere e far pensare ma, erano solo energie sprecate che avresti fatto meglio a investire nella tua creatività, nella tua musica.

Quando tuo fratello, con la sua triste figura sgraziata, ha detto che “da quando avevi conosciuto il tuo amore, Serena, avevi smesso di suonare e uscire il sabato sera”, quando ha detto questa idiozia di fronte a tutta quella gente il mondo mi è crollato addosso in modo definitivo, causando al mio Io più profondo danni irreparabili e ho desiderato ucciderlo con le mie mani…

Ma ero disperata e stanca e sola, perché nonostante tutte quelle persone che erano vicino a me e dalla mia parte, io ero sola e, senza di te, sarà sola sempre e comunque.

Con lo scorrere dei mesi il dolore ha smussato i suoi angoli più acuti e così ha lasciato il posto alla rabbia, avvinghiata come edera alla luce che lentamente si riappropriava della mia mente, persa in una densa nebbia per troppe settimane. Ucciderlo con le mie mani avrebbe voluto dire toccarlo ed è una delle cose più disgustose che posso immaginare e poi, l’avrebbero trasformato in un santo. Un duello è troppo dignitoso per uno scherzo della Natura di quel tipo e poi…

Dente per dente, occhio per occhio.

 

Chi non ha avuto rispetto della nostra famiglia, chi ti voleva morto dopo nemmeno mezz’ora che eri stato trasportato al Pronto Soccorso, chi non ha mai voluto venirti a trovare, chi ha detto ai tuoi amici che era impossibile farti visita, chi ha offeso la tua memoria, le tue idee, il tuo vivere quotidiano deve sopportare una condanna per lo meno simile a quella che ha inflitto per avidità e demenza a te.

 

E così, una notte che non riuscivo a dormire ho aperto i tuoi tanti manuali di elettronica, ho riaperto i link di siti che tante volte ti avevo visto consultare su internet e ho iniziato un viaggio in uno dei mondi che più amavi, quello dell’elettronica.

Non è stato per niente facile ma mentre studiavo ascoltavo la musica che avrei voluto ascoltare con te e, a volte era come se tu fossi nella stanza accanto intento a preparare un buon Moscow Mule mentre premevo play e lasciavo che una canzone di Bitcevsky Park mi aiutasse a capire meglio, un po’ come essere te con lo zucchero sulle dita…

 

Ho fatto quello che dovevo fare e, almeno così sono sicura che la gente, non presterà più attenzione alle cose che ho scritto e che forse scriverò; saranno tutti lì fermi al gesto meraviglioso e necessario che ho compiuto per riportare giustizia nella tua esistenza e so, che un giorno tornerai da me e, anche se il tuo sguardo sarà pieno di biasimo una parte del tuo animo sarà finalmente più leggera e libera, così come meriti.

 

Non è stato facile ma sapevo che ci sarei riuscita, la luce della giustizia mi guidava e rincuorava in tutti i momenti di sconforto, in cui avrei voluto solo nascondermi tra le tue braccia o essere così piccola da entrare nel taschino della tua camicia di velluto nero e invece…

 

Quella persona per me era inaccettabile e estranea al mio essere e a quello della nostra famiglia distrutta, non abbiamo mai avuto bisogno di loro, per te erano solo un fastidio e si impegnavano per esserlo. Quante delusioni, quanta violenza, anche quella bambina per cui avevi provato sincero affetto ti aveva deluso, quella bambola buttata in un angolo ti aveva profondamente offeso, l’avevi scelta con cura in quel negozio in cui passammo qualche lunga mezz’ora pensando di scegliere un regalo che avrebbe apprezzato e conservato con cura, invece… “A loro interessano solo i soldi e solo i soldi avranno”.

In tutti i modi avevano cercato di coinvolgerci, di insinuarsi nella nostra esistenza ma non c’erano mai riusciti… Che si tenessero la loro pochezza, la loro arroganza e la loro avidità priva di eleganza…

Ma continuavi a provare un senso di fastidio ogni qual volta che entravi in collisione con loro…

Forse quel fastidio era l’avvertimento, un modo di farti allontanare da quell’ombra nera che emanavano e che anch’io cominciavo a intravedere tra le pieghe della nostra vita quotidiana.

Mi sono ripromessa di fare un lungo elenco di tutte le nefandezze che abbiamo dovuto sopportare e che abbiamo tollerato fin troppo pacatamente grazie ai sentimenti che ci legavano e che, ci regalavano l’illusione, che poteva andare bene anche così ma purtroppo, nella vita, ad un certo punto bisogna prendere quello che ci infastidisce e lanciarlo lontano, una volta e per sempre.

E poi cosa può esserci più creativo della vendetta? Così chi non aveva rispettato la nostra famiglia fuori dai loro schemi ha finito per essere distrutto e in modo molto creativo e, anche divertente!

 

Un uomo che non era un uomo ma un essere che, di certo, non provava piacere ogni volta che si guardava allo specchio. Non simpatico ma nemmeno antipatico poiché, nell’antipatia molto spesso si trova un po’ di eleganza. Solamente indisponente e innegabilmente brutto, insicuro e timido irrisolto e proprio per questo aggressivo. Quel tipo di aggressività che si perdona a un trentenne con lo sguardo intrigante e, non era il suo caso.

Una giovane donna forse mai stata per davvero giovane, anch’essa incapace di provare sentimenti sinceri ma diventata più brava nel simularli, molto curiosa sulle cose che mi dicevi di lei e io, ovviamente quel giorno all’obitorio non le dissi che la chiamavi “culona” e “terrona”! Mi dicesti una volta che avresti potuto perdonarmi tutto ma mai mi avresti scusata per un culo così brutto! Anche lei dotata di faccia tosto, avidità e ipocrisia.

E quella figlia che tanto somigliava al disastrato babbo? Come ho già detto l’avevi allontanata presto dal tuo cuore e la chiamavi “la selvaggia”, molto probabilmente volevi più bene a quella bambolina di stoffa di cui ora non resta che cenere…

 

Mi ricordai quello che mi avevi raccontato su quella casa e della morte violenta che vi aveva trovato quella tua prozia a cui eri tanto affezionato e così… Mi lasciai ispirare dal passato e dall’elettronica, oltre che a canzoni malinconiche eppure rincuoranti… Quell’antica morte era stata causata da un guasto elettrico e ora, per me, non c’era niente di più facile che manomettere l’impianto elettrico di quella casa e lo feci in modo accurato indossando il mio vestito blu elettrico, quello con cui andammo un giorno in un castello, tra le montagne innevate…

Ma prima dei cavi, regalai spazio anche alla mia passione più grande: la scrittura.

Iniziarono quei disgraziati a ricevere lettere scritte con una calligrafia antiquata e stanca, la carta su cui erano scritte parole dolorose odorava di bruciato e alle iniziali favolette inquietanti seguirono infinite e minuziose descrizioni di corpi che bruciano. Da prima una sola lettera ogni mattina arrivava nella loro cassetta ma poi, per giorni e giorni, le lettere diventarono decine e poi centinaia, confesso che solo cinque lettere le scrissi di mio pugno ma tutte le altre, davvero non so chi sia stato il mittente e da chi siano state scritte e, temo che nessuno lo scoprirà mai.

In poche settimane il debole abbozzo di uomo si trasformò in un essere isterico e ripiegato su sé stesso, che correva da una porta all’altra in cerca di aiuto, ma trovava solo usci chiusi o incredulità. Si riempì di rughe profonde che sembravano quasi piaghe, di quelle che lascia il fuoco e la moglie faceva fatica a guardarlo in faccia e, per sfogarsi lei  iniziò a mangiare, mangiare e cucinare così tanto, giorno e notte, che la temperatura in quella casa rasentava i quaranta gradi negli anfratti più freschi e così, quasi impazzirono e smisero di parlare perché era troppo faticoso, così la povera bimba di fronte alla mostruosità e al mutismo dei genitori perse il senno,  distrusse tutti i libri e i quaderni di scuola e, frantumando i vetri della finestra, si lanciò nella vicina strada e neanche si accorse dell’arrivo di un Tir che andava verso l’altipiano.

Di lei restò una macchia sull’asfalto così brutta che nessuno per giorni e giorni osò passare da quella strada e tutti si allontanarono dalle loro case, e i due genitori pazzi e avviliti restarono completamente soli, finché un giorno, dopo che ebbi indossato il mio bellissimo vestito blu elettrico, videro una scintilla grossa come un pugno e poi un impercettibile attimo di silenzio in cui si resero conto della loro miseria e ringraziarono quasi il fuoco che mise fine alle loro pene e, riportò giustizia dov’era necessario che tornasse.



 


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