Il 2020 è per me uno spartiacque, un muro imposto e tirato su con vigore e fatto restare in piedi perché ritengo che sia giusto così.
Forse è un periodo, una fase mentale o sentimentale; è fisiologico, è la rabbia…
Poi passa.
Poi si perdona.
Poi si va avanti tornando indietro, sui nostri passi, perché è così che funziona in occidente e bisogna farsene una ragione.
Però, per me, quel muro deve restare in eterno, almeno io voglio vederlo con i miei occhi e ammirarlo e ringraziarlo finché avrò vita: non posso farci niente, lo guardo e immediatamente sto meglio.
Culturalmente io sento di rinnegare l’occidente, mi è venuto facile, forse avevo una mia predisposizione a causa di vicissitudini familiari, probabilmente nel mio sangue c’è qualcosa di strano, me l’hanno sempre fatto intuire le cose della vita e gli sguardi di certe persone e, forse sbagliando, ho finito per crederci.
Tutto quello che è stato, tutto quello che ho amato profondamente e appeso alle pareti della mia esistenza, tutto quello che ha scatenato e sostenuto lotte oggi per me ha perso di valore e, non l’ho deciso io.
Sono stata tradita e abbandonata, o meglio, mi sono sentita tradita e abbandonata, delusa e offesa, e neanche uno di voi lettori può mettere in discussione le mie sensazioni, così come io non posso mettere in discussione le vostre.
Tutto quello che mi aveva sostenuto e nutrito di forza e speranza, si è dissolto a causa di decisioni, dal mio punto di vista, molto scellerate e fuori luogo.
La mia passione non è morta e non si è nemmeno indebolita, semmai ha avuto nuova linfa vitale, un nutrimento migliore e di questo ringrazio il destino (solitamente infame).
Proprio per questo miglioramento non ho nessuna voglia e nessun bisogno di guardarmi indietro.
Quello che mi nutre ora ha radici sane, affondate nel presente ed è quello di cui ho bisogno ora per restare qui e almeno provare a andare avanti.
Quindi…
ANDATE TUTTI AFFANCULO, ZEN CIRCUS COMPRESI.
Non è un’offesa ma nemmeno un complimento, “vaffanculo” è una liberazione, un atto di fede, una parola piena d’amore, il titolo di un disco del 2009 e anche quello di un libro.
Partiamo da qui, dalla mia città, ancora negli anni zero del 2000, ancora fermento creativo, vita avventurosa, concerti che scatenano tempeste sui monti, centri sociali che si spostano in giro per la città e, che danno vita a una bella atmosfera, i gruppi storici sono in formissima e imparano cose nuove in giro per il mondo e in giro per Pisa, e ne nascono di nuovi con fervore e protagonisti promettenti che manterranno le promesse ma poi, dopo anni, dopo “di tutto di più e cose meravigliose” ti rendi conto che, quell’ideale essenziale che vedevi ma che, in realtà volevi vedere perché ti piaceva vederlo, semplicemente non c’era e non c’era mai stato.
Cos’è un centro sociale? Una sala prove gratuita, un palco amichevole, dove farti le ossa, provare l’effetto che la risposta del pubblico ha sul tuo ego con poco investimento e ancora meno responsabilità. Una sala prove estesa in cui s’impara a fare cocktail con pessime bibite del discount, si cucinano torte salate salutiste e ci si droga; un luogo che è un non luogo e per questo ci si sente più liberi e, più facilmente, si diventa padroni del “saper stare sul palco” e ci si atteggia a qualcosa che non si è, perché poi se il Sistema ti chiede da che parte stare la risposta l’avevi in testa già da tempo, e non potete negarlo, c’erano tutti gli indizi e voi, che siete più svegli e più intelligenti di me, non ditemi che non l’avevate capito.
“Andate tutti affanculo”, album di un gruppo di Pisa, un album che ho ascoltato all’infinito e che ringraziavo fosse stato scritto. Tutte quelle cose che ti facevano sperare che qualcuno che capiva ancora le cose c’era, e che non era ipocrita e che arrivava direttamente al punto. Basta rileggere i titoli per illudersi di nuovo?
In realtà no, scopro con lo stupore che ancora, nonostante tutto, sono in grado di provare che i titoli mi suggeriscano ben altro, rispetto ai tempi che stanno di là da quel muro.
“Gente di merda” intanto sono tutti quelli che pensano che siamo tutti uguali, tutti pronti per essere esposti sui banchi di quel determinato reparto del supermercato. Tutti in vendita, fatti con gli stessi materiali e, soprattutto, gente di merda sono quelli che pensano che se smetti di fare una certa cosa allora la tua unica alternativa sarà morire di noia (che per me poi non sarebbe nemmeno una brutta morte) e solitudine. Non prendono in considerazione il fatto che ci possa essere un inaspettato e piacevole altro. “Vuoti a perdere” cantato dall’integerrima e anche lei firmataria (ma firmataria di cosa?) Nada, mi suggerisce temi lontani dall’anticlericalismo, quei corpi sacrificabili e quindi sacrificati sotto gli occhi e la coscienza di tutti: politici, sanitari, parenti, spettatori, lettori e cyber bulli. Avevamo bisogno di un numero corposo di corpi e l’abbiamo trovato, l’abbiamo fabbricato con materiale umano raccolto qua e là, nelle residenze per anziani, nei pianerottoli dei condomini di certe città dell’Italia settentrionale, nei reparti degli ospedali. Così doveva essere e così è stato, erano vuoti a perdere, ma ci sono stati lo stesso molto utili, amen. Di “Vecchi senza esperienza” invece ho una percezione non troppo differente da quella che provavo un tempo: sono sempre gli stessi, si è aggiunto qualcuno che magari aveva oltrepassato la soglia della mia vita ma, alla fine troppe sorprese o cambiamenti radicali non ci sono stati. I vecchi senza esperienza sono quelli destinati a diventare vecchi con indosso i vestiti da rocker americano, vagamente anni’70, che bramano ancora le stesse cose che già erano obsolete ai tempi in cui sono nati ma che, nello stesso tempo, scimmiottano malamente la vita dei loro genitori e hanno continuamente bisogno di conferme (d’altraparte i loro problemi sono più importanti dei miei, quindi devo ascoltarli e capirli senza pretendere niente in cambio perchè non me lo merito). “It’s paradise” questo titolo ora mi fa vedere me, che mi chiudo in camera, mi vesto in modo assurdo tra il Glam e il pigiama party e ascolto la mia nuova musica preferita; ho così poco bisogno di quella vecchia che, in quest’ analisi, non posso andare oltre il titolo e non ve la faccio neanche completa perché sarebbe troppo cattiva, anche per la sottoscritta.
Cambiamo strada ma di poco, così che io possa anche essere accusata di accanimento terapeutico verso quel determinato gruppo e, ora può sembrare così ma vi assicuro che “magari lo fosse”. In ogni caso, candidamente confesso che…
Non è colpa mia se si sono così tanto impegnati a mettermi a disposizione così tanto materiale (per ingannarmi meglio? Per rendere la pugnalata più dolorosa?).
C’è il cantante di un certo gruppo pisano di cui fino ad ora abbiamo parlato che, un giorno decide di fare un suo disco solista, per dare sfogo a tutti i suoi dolori.
L’album del 2013 si intitola “Il Testamento” è per me è/era un disco bellissimo, a partire dai testi. Quando ho ascoltato la traccia che da il nome all’album la prima volta, ho dovuto ascoltarla subito una seconda volta, poi immediatamente una terza e così via fino alla mia tradizionale “settima volta”, cosa che mi accade ogni volta che ascolto un pezzo che oltre a piacermi tanto possiede anche quel qualcosa in più, di indecifrabile, universale e profondamente affine a un qualcosa di mio.
Il testo è questo qui sotto e, dopo la settima volta sono andata a fare una ricerca su Google e ho scoperto che la canzone era una dedica a qualcuno, non proprio un qualcuno qualunque.
Brano di Andrea Appino
Ho dieci strofe per lasciare un bel ricordoHo dieci piani che mi aspettano giù in fondo E sono certo in pochi possono capire Ma davvero io son felice di morire Ho fatto tutto quello che dovevo fare Ed ho sbagliato per il gusto di sbagliare Son stato sveglio quando era meglio dormire E ho dormito solo per ricominciare Son stato solo tutto il tempo necessario A guardare gli altri, non per fare il solitario Ed ho creduto in tutti per quel che ho potuto Mi son rialzato sempre dopo esser caduto Ho preso in giro solo quelli più potenti A loro ho preferito sempre i pezzenti Me ne son fregato dei giudizi della gente Nessuno giudica se è un poco intelligente Ne ho amati molti perché lo volevo fare Tanti ne ho odiati ma anche loro per amore Ho preferito Gesù Cristo a suo padre Anche se entrambi non li voglio al funerale Ho scelto tutto quello che volevo fare E ho pagato ben contento di pagare Perché la scelta infondo è l’unica cosa Che rende questa vita almeno dignitosaE quindi scelgo di saltar dal cornicioneCome un gabbiano, falco o piccolo aquilone Come un’aereo, una falena, un pipistrello Che vola alto invece ora è un misfacello Ho scelto te per dei motivi misteriosi Siam stati accanto per giorni meravigliosi E lo sai bene che lo faccio per natura Non rivederti più è l’unica paura Ai ben pensanti che lo trovano immorale A quelli che lo leggeranno sul giornale Alle signore bocca larga e parrucchiere Chi non mi lascia farlo in altre maniere Io ho scelto esattamente tutto quel che sono Senza la scelta io la vita l’abbandono Ho scelto tutto, tutto tranne il mio dolore Lo ammazzo io e non c’è niente da capire
Il brano che avete letto come forse saprete è ispirato al regista toscano Mario Monicelli, anzi è ispirato a un particolare momento della sua vita ma, questo testo ha anche un valore universale.
Parla di quel momento in cui si è chiamati a scegliere tra la dignità e la fine della dignità, quando si ha umanamente paura di non essere più utili a se stessi, quando le parole di conforto non danno più nessun conforto, quando allo specchio, nei nostri occhi, leggiamo la parola fine anche se tutto quello che abbiamo intorno ci incoraggia ad andare avanti ma, in che modo?
Questi e tanti, tanti altri possono essere il motivo fondamentale per cui un individuo, a un certo punto della sua esistenza, decide di buttarsi da quella finestra, con o senza testamento oltre il diritto, anche questo universale, di scegliere e di essere libero fino alla fine.
Per gli stessi motivi una persona sana o una persona che, semplicemente, non sente il bisogno di lanciarsi dal davanzale della propria finestra ha il diritto di proteggere la sua salute e non metterla a rischio nemmeno per una minima percentuale di rischio e non deve sentirsi obbligato a dare nessun tipo di giustificazione.
Esattamente come il suicidio di Mario Monicelli, è un diritto legittimo e un gesto di coraggio verso se stessi, non un atto di egoismo e codardia.
Credete che io abbia esagerato? Che per un nessun motivo particolare o per motivi ancora misteriosi io stia criticando qualcuno, così a caso? Forse è esattamente così nel mondo di qualcuno ma non nel mio, quello che ho dovuto costruire intanto nella mia mente (per pura sopravvivevenza), poi chissà visto che, tutto sommato, non è tanto male potrei pensare a renderlo anche reale, perchè la vita sarà più difficle ancora per molto, ma in ogni caso…
Non mi sento in colpa perché voi potete fare anche finta che tutti gli inni al qualunquismo, al populismo, all’egocentrismo, all’inesperienza (però arrogante) che mi è sembrato di intrasentire nei loro testi non fosse altro che autoanalisi opportunista, partire da se stessi per arrivare a se stessi e allo stesso tempo risultare un gruppo anti-sistema per acciuffare creduloni facilmente sostituibili al momento opportuno con i fan dotati di superGP (superGP cosa?) ma, chi ha scritto una frase come “Io ho scelto esattamente tutto quel che sono/Senza la scelta io la vita l’abbandono” e poi si è comportato in una certa maniera per me è un traditore e, come tale deve essere trattato, non ci possiamo passare sopra con leggerezza. Almeno io non ci riesco.
Se si fa una ricerca su Google (si, io faccio spesso ricerche su Google) riguardo le frasi di Mario Monicelli , la prima che salta agli occhi è questa: La vera felicità è la pace con se stessi. E per averla non bisogna tradire la propria natura. E ora…
Riavvolgiamo il nastro, facciamo chiarezza…
Dopo che avete sopportato questo torrente in piena dei miei blablabla ecco il perché di questo articolo.
Ormai è passato più di un anno da quando, per poter continuare a svolgere la propria professione (tutto in apparenza come prima, come se niente fosse), un nutrito manipolo di artisti dell’overground italiano ha scritto una sorta di letterina al Presidente del Consiglio Mario Draghi (non certo un esponente della sinistra progressista italiana, se mai ne esiste una). In questa lettera veniva rammentato al presidente Draghi di come, da marzo 2020, il settore del mondo dello spettacolo fosse in crisi ed era assolutamente vero. Io, pur non contando niente, ho sostenuto le loro prime iniziative di protesta e gradito i tentativi “virtuali” di mantenere alto il morale e non far morire per soffocamento un certo ambiente e certi personaggi e non immaginavo certo questa svolta filo-governativa, che è stata esattamente l’opposto di quello che mi sarei aspettata (solo io?). Avevo fantasticato su come tanti “miei eroi” sarebbero stati in prima linea nella lotta di questa inutile dittatura dalla veste sanitaria, che illusa! Immaginavo fermento creativo, ribellione come base per nuovi spazi e nuovi movimenti, per lo meno nuovi album! I temi e gli slogan nati dallo stomaco più arrabbiato e affamato di giustizia e di rinascita non mancavano, anzi abbondavano invece sono morti prima di nascere, nell’indifferenza più totale.
Invece tutti questi signori mentre io sognavo (ma non mancano le signore), hanno proposto un “protocollo condiviso sulle norme sicurezza”. Ovvero: ingressi ai concerti solo con GREEN PASS (sì, scritto grosso!) e due obblighi imbarazzanti come il controllo della temperatura all’entrata e le mascherine.
Se il GP è un ibrido tra la tessera del fascio vecchio stile (appartenza e qualche bonus) e il tatuaggio che veniva fatto ai prigionieri all’ingresso nei campi nazisti (siete nello stesso registro in cui vengono iscitti gli animali destinati al macello) e misurare le temperature è una mancanza di fiducia verso la capacità di intendere e di volere di un individuo (se sto male sono in grado di capirlo da sola e, magari se ho la febbre non ho voglia di andare a un concerto come non ho voglia di andare in profumeria a comprare un rossetto o un deodorante per le ascelle), indossare le mascherine in ambienti chiusi per lungo tempo è un modo efficace e garantito per rovinare la salute dei nostri polmoni, così dopo aver lavorato o studiato con una mascherina si va a divertirsi con una mascherina sulle vie respiratorie, tutta salute che se ne va!
Tutto questo era per un nobile scopo: ricominciare a lavorare, saltare sul palco, riempire palazzetti e teatri e portare un po’ di soldi a casa. E, grazie a questa situazione e a questa letterina, abbiamo finalmente capito che se sei un’artista puoi garantirti il piatto di minestra solo abolendo il distanziamento e riempire gli spazi al 100% durante una presunta pan-de-mia.
Sicché, perchè farsi scrupoli anche se queste richieste (accolte) hanno contribuito a creare disagio a una bella parte della popolazione italiana? E tra quei cittadini offesi, umiliati e anche derisi c’era anche chi andava ai concerti, comprava album, spillette e magliette, ma cosa importa?
Ecco ora abbiamo una bella lista di artisti da boicottare. Qualcosa di buono c’è sempre anche nelle cose peggiori.
Prometto solennemente che… Non vi guarderò più quando siete in televisione, non vi vengo più a cercare su youtube, non ascolto nemmeno i vostri dischi che ho in casa da tempo e non idosso le magliette coi vostri nomi e le vostre facce ma, soprattutto non avrete più un centesimo dalla sottoscritta. FINE.
Siete curiosi di sbirciare nell’elenco dei firmatari (svelato l’arcano…)?
Andiamo in ordine alfabetico?
Aftehours, Manuel Agnelli, Laura Agnus-Dei, Aiello, AKA7even, Al Bano, Alice, Altre di B, Alessandra Amoroso, Anastasio, Giordana Angi, Anna, Annalisa, Biagio Antonacci, Après la Classe, Renzo Arbore, Arisa, Ariete, Emanuela Aureli, Aurora Boreale, Axos, Malika Ayane, Baby K, Bachi da Pietra, Claudio Baglioni, Baobab, Angela Baraldi, Luca Barbarossa…
Mi fermo un attimo, è imbarazzante leggere questi nomi. Alcuni non li conosco neanche, saranno emergenti, “famosi da poco”, giovani, per questo devo giustificarli? Altri sono nomi stra-conosciuti, gente con una carriera alle spalle e magari anche la presunzione di essere alternativi a qualcosa (penso a Angela Baraldi ma anche al super buono Luca Barbarossa), invece dei poveracci, Al Bano e Baglioni compresi, che devono fare richieste a un governo per poter continuare a fare quello che di solito si fa per altri meriti e non per contribuire a fare del male al proprio popolo o quel che è…
Attualmente il greenpass serve per andare a trovare i parenti e amici malati in ospedale e anche gli anziani negli ospizi, serve anche per lavorare nel settore sanitario e, ancora oggi, i lavoratori ricevono lettere di sospensione, mentre altri sono ancora a casa senza stipendio da mesi e, chi ha avuto una sorte migliore, è stato reintegrato ma ormai ha perso la fiducia e la tranquillità solo perchè ha deciso di mettere salute e dignità davanti all’avidità; e non parliamo di quelli che hanno ceduto al ricatto e magari si sono guastati la salute, non ne parliamo, è meglio perchè l’elenco è ancora lungo e la tristezza, come la paura, toglie energia e voglia di lottare.
A questo punto, prima di andare avanti con le dolenti note, c’è bisogno di qualche buon esempio.
Il primo buon esempio è Victor Tsoi (se non lo conoscete andate ad ascoltarlo!) che, giovanissimo, s’interessò di arte e di musica e giustamente, visto che aveva un talento che andava oltre la tecnica e anche il physique du rôle che di certo non guasta! Fu forse incompreso dai familiari, almeno inizialmente e soprattutto dal nonno (pezzo grosso del Kgb), ma il suo talento era così luminoso che anche un nonno severo non poteva ignorare e nemmeno rimproverarlo troppo per aver studiato un po’ meno degli altri nipoti.
Fu quasi merito suo, aiutato da tutto quel fervore underground che aveva intorno, che in Unione Sovietica i concerti rock non furono più avvenimenti da fare di nascosto, Tsoi senza mancare di rispetto a nessuno (né al suo governo, né ai suoi fan, nè a se stesso) trovò il modo di dire la sua, rimanere se stesso e addirittura riuscire nella difficilissima impresa di ricevere le simpatie della censura, che decideva se potevi o meno salire su un palco e esibirti.
Fu se stesso fino alla fine perché nel 1990 morì probabilmente per un colpo di sonno in un incidente stradale, tornava da una battuta di pesca perché gli piaceva anche pescare e, come tutti, si stancava e aveva bisogno di dormire, anche se era un personaggio famoso.
Tsoi era il leader dei Garin e le Iperboloidi, un gruppo nato grazie al supporto di Boris Grebenscikov degli Acquarium. Quando sul finire del 1981 uno dei componenti fu arruolato nell’Armata Rossa (di certo non un bel momento per un giovane musicista), la band fu rinominata Kino.
Tsoi riuscì a scrivere quelle canzoni politiche e ricche di messaggi per i giovani sovietici che nessun altro avrebbe potuto scrivere, non credo solo per una questione di tempistiche storiche, perché leggendo i testi si capisce la sua capacità di scrivere e comporre poesie (in Russia si parlava di poesia rock non di musica rock, vista l’importanza che la letteratura ha sempre avuto da quelle parti! ) in cui riusciva a dire la verità, almeno la sua verità, e criticare la corruzione e le ingerenze fascio-mafiose all’interno del Partito Comunista. Condannava la guerra, esaltava l’Anarchia risultando inattaccabile, anzi entusiasmando la censura, che definì i Kino “un gruppo umoristico”.
Scusate ma non riesco a immaginare un Victor Tsoi con il Green Pass in mano, mentre aspetta che il controllore gli dia il permesso di salire in metropolitana o di andare alla tavola calda per mangiare un borsch in un giorno freddo di dicembre. Mi è proprio impossibile immaginarlo, sarebbe anche molto anti estetico, in contrasto con l’idea che mi sono fatta di questa rock star dall’espressione fiera e canzonante al tempo stesso, ma soprattutto molto affascinante, il greenpass gli avrebbe abbassato il fascino, così come l’ha azzerato a tanti artisti italiani, purtroppo meno talentuosi e scaltri di Tsoi, che non hanno avuto altro modo per restare nell’overground ancora un po’ luminoso, se non quello di fare una bella figuraccia.
Abbiamo iniziato con gli Afterhours e ci siamo fermati a Luca Barbarossa, vogliamo vedere chi c’è dopo nell’elenco dei greenpascisti-musicisti italiani?
Visto che il tempo è prezioso (soprattutto quello libero!) approfitto di una pubblicazione autorevole che una volta ha fatto una bellissima copertina arcobaleno (luglio 2018) su cui campeggiava con un certo coraggio (ben sponsorizzato dal PD) la frase d’effetto: “NOI NON STIAMO CON SALVINI” (ma Salvini quale? Quello grasso che fa politica ed è volgare e razzista? Quindi molto diverso da quegli over 60 che si reputano comunisti e che ti sputano in faccia un “se non fai una certa cosa e poi stai male gli ospedali non ti devono curare” che è poi una minaccia di morte punibile legalmente con una corposa multa e il rischio lontano, ma scritto nero su bianco, di finire qualche tempo in gattabuia oppure gente che ha pronunciato frasi piene di luce come “non bisogna morire tutti di covid perchè altrimenti poi i negri prendono il sopravvento” sono sicuraMENTE persone più nobili di Salvini, certo perchè poi magari votano Renzi!). Torniamo a noi, avrete capito che la rivista in questione è “Rolling Stones” che mi si offre come scorciatoia con un bell’articolo anche se togliermi sassolini dalle scarpe raccontando di questa bella gente che un tempo mi capitava di frequentare è molto appagante.
Il 24 settembre 2021, anticipando molti altri obblighi vergognosi nel mondo del lavoro, questa rivista di musica e costume pubblica uhn sobrio articolo in cui racconta del “super appello del mondo della musica a Draghi: riaperture al 100% con il GreenPass“, dei nomi li ho già fatti un po’ più in su, vi anticipo che ci troverete anche Nada insieme alla sua aria da santona mistica e, ovviamente i pisani Zen Circus con tanti loro amici, tutti paladini della libertà di scelta!
Ma ecco esattamente cosa chiedevano questi signori e tanti, tanti altri firmatari del bel mondo dello spettacolo, tutto sempre tratto dall’articolo di Rolling!
Riaprire le sale da concerto col 100% della capienza, senza distanziamento, ma con Green Pass e mascherine. Fissare una data certa per la ripartenza attraverso un piano da formalizzare entro il 31 ottobre 2021. È l’appello al presidente Draghi pubblicato oggi su una doppia pagina a pagamento sui principali quotidiani italiani «per sollecitare una presa di posizione chiara e risolutiva per la sopravvivenza e il rilancio del settore della musica live nel nostro Paese».
L’iniziativa è promossa dall’associazione di categoria Assomusica e da trentina di promoter, da Live Nation a DNA Concerti passando per D’Alessandro & Galli, International Music & Arts, OTR Live, Ponderosa, Vertigo, Vivo, e altri. È sostenuta da circa 300 artisti (non solo musicali) tra cui Afterhours, Claudio Baglioni, Baustelle, Jovanotti, Fedez, Tiziano Ferro, Achille Lauro, Ligabue, Vasco Rossi, Sfera Ebbasta, Zucchero.
L’appello è indirizzato a Draghi e ai ministri Franceschini (cultura), Giorgetti (sviluppo economico), Speranza (sanità), Orlando (lavoro). Ecco il testo.
E così che si fa o si mantiene la carriera in italia, vendendosi al mondo della politica, anzi offrendo la vita dei propri concittandini per mantenere ego e conto in banca, senza troppo sforzo, tanto anche senza morale si vive bene e, anche vendendo l’anima al Diavolo, qualche lustro di godimento è garantito.
Poco importa se… delle persone perderanno il lavoro, finiranno a casa per mesi senza stipendio, metteranno a rischio la loro salute, saranno esclusi dalla vita sociale e la loro vita quotidiana e le loro abitudini (magari più sane e importanti delle vostre) saranno messe in discussione e fortemente manomesse?
Trovo molto divertente l’ultima affermazione: “tornando alla situazione di normalità pre-covid”. sarete anche delle grandi personalità artistiche ma avete una strana idea riguardo la parola NORMALITA’. Andare a un concerto con il lasciapassare, farsi provare la febbre e dover indossare una mascherina (magari fatta con derivati del petrolio) a ostruire le vie respiratori, a voi sembra normale? Esattamente come vi sembra normale che una persona sana e educata non possa salire sul treno o svolgere la propria professione o dover accettare delle terapie chimiche che, giuste o sbagliate che siano, semplicemente non sente il bisogno di fare?
E ora….
La parte più divertente!
La lista degli infami
Esattamente… Non solo dei vecchi dinosauri come Vasco Rossi o mediocri che la maschera l’hanno sempre indossata come I Tre Allegri Ragazzi Morti (ma soprattutto noiosi) sono tra i firmatari, ma anche nomi che leggerli è stato come buttarmi da quel decimo piano e fracassarmi al suolo senza però averlo scelto: Nick Cave, Depeche Mode, Bryan Adams, Kiss… Vergognatevi tutti e vergognatevi tanto, un po’ come i Cure per le loro orrende magliette gialloblu pro NaziUcraina…
Dopo tutta questa vergogna e relativa tristezza serve davvero
un’altro buon esempio.
Ho conosciuto la storia di Nicola Stame in un libro dal titolo “Partigiani Contro – La Resistenza oltre la narrazione ufficiale”. Libro dalla copertina nera e diviso in due parti: la prima farà crollare quei pochi miti istituzionali, partendo dall’ANPI, che ancora erano rimasti in piedi (e tutto è stato confermato dal modo in cui si sono comportati durante la cosidetta “emergenza covid”), la seconda parte del libro è dedicata a storie di singoli protagonisti della Resistenza italiana e non solo. Partigiani che non hanno avuto la possibilità di poterci raccontare la loro vita in prima persona. Molte, moltissime storie brillano e meriterebbero di essere menzionate, tutte per la verità e probabilmente ce ne sono tante che non sono arrivate a noi in nessun modo però la storia di Nicola Stame in questo frangente brilla più delle altre perchè lui fu illuminato dai riflettori del palco: era un’artista, un cantante lirico.
Nicola “Ugo” Stame nasce a Foggia nel 1908, era sua intenzione fare il meccanico ma gli andò male, così pensò di arruolarsi in aeronautica e fu proprio grazie a questo e al trasferimento a Roma che gli fu chiara la sua vocazione. La sua passione per il canto, la sua voce potente, squillante e raffinata lo trasformarono presto in un grande tenore. Si esibiva nei grandi teatri e aveva ruoli importanti. Ma Nicola, oltre alla passione per la musica e le luci della ribalta, ne aveva un’altra. La sua avversione al regime fascista era naturale come le sue doti canore.
Quindi…
Un giorno del 1938 Nicola Stame sta facendo le prove per la Turandot di Giacomo Puccini, dove interpreta il Principe Calaf (presente il “Vincerò?”), la prima sarà in un luogo importante e suggestivo: le Terme di Caracalla, ma gli agenti dell’OVRA entrano nel teatro mentre Nicola canta “non c’è asilo per noi, padre…”.
Cala il silenzio interrotto solo dalla voce degli agenti, che chiedono al tenore la tessera del PNF.
– E’ iscritto?-
– Perché mai?- replica lui.
Resterà per due mesi in carcere. Quando esce continua a recitare ma sa che per lui nel mondo dello spettacolo niente sarà come prima. L’8 settembre decide di prendere parte alla Resistenza e rifiuta il viaggio in America che gli avrebbe permesso di riprendere la sua carriera e riavere la sua fama.
Nicola Stame senza nessuna tessera di regime combatte il fascismo con il gruppo della Bandiera Rossa.
La sua voce risuonerà nelle carceri nei giorni di prigionia e tortura, il suo processo sarà una farsa e sarà condannato a 5 anni di prigione. In questo triste luogo continua a cantare, la voce di Nicola Stame incanta anche i carcerieri tedeschi finché un giorno non smette per sempre.
La sua salma è la numero 124 ritrovata alle Fosse Ardeatine, mesi dopo.
Così si conclude il secondo buon esempio, e oltre a quello che può rappresentare per un artista che, oltre alle doti tecniche, alla creatività deve essere dotato di una grandissima sensibilità, per cui la scelta di opporsi alle ingiustizie sociali dovrebbe essere innata in chi si reputa o è considerato tale. A quanto pare oggi fantasia e doti tecniche abbinate alle raccomandazioni e agli atti di codardia come quello di cui abbiamo parlato, sopperiscono la mancanza di sensibilità e anche le pessime capacità imprenditoriali, ma questa è solo la mia opinione… Altra cosa che credo sia giusto aggiungere è che, con esempi simili, non si capisce come l’ANPI abbia così bene accettato il GP in tutte le sue forme e che l’abbia addirittura richiesto durante tutte le sue attività.
Non dite che non c’erano alternative, perchè ce n’erano e sarebbero state veri atti di resistenza attiva, niente di strano per chi sventola i valori della Resistenza. Ma invece avete preferito dare voce alla vostra vera natura.
Personalmente ho volto sguardo e orecchie verso altri lidi, il panorama musicale italiano è molto triste e tanti miti si sono schiantati al suolo anzi no, sono finiti in una fogna anche se pensano ancora di essere immacolati e puri; per fortuna le eccezioni ci sono e dimostrano anche di possedere un grande talento, di quelli che non puoi ignorare e che non hanno bisogno di mettere nei guai il prossimo per poter svolgere l’arte che gli è congeniale.
Grazie di aver letto e di essere arrivati fino a qui!
Serena
p.s.
Ho evitato di infierire sui grandi protagonisti dell’underground nostrano, perché sarebbe stato ancora più imbarazzante, posso solo dire a chi a lanciato messaggi come “v((natevi” dai palchetti di certi circoletti e localini che mi fa davvero tanta pena e siete un po’ tutti anche molto noiosi, oltre che mediocri.