Il Figlio del Pecoraio
/novella popolare/
In Toscana le fiabe diventano novelle e, nel mentre che siamo bambini, ci vengono raccontate così tante volte che l’ultima ci sembra di averla ascoltata solo l’altro ieri. Il ripensarci ci porta in un luogo dai contorni non definiti, con una luce calda e soffusa. In questo spazio della memoria una voce rassicurante tiene a bada l’oscurità che ci circonda e che, qualche volta ci spaventa. Tradizione vuole che la “novellatrice” sia una nonna ma, questa volta, la fiaba è stata raccontata da una ragazza vissuta a metà ottocento, in quella campagna che, superata Pistoia, porta verso la Valle del Bisenzio. E ora ve la racconto a modo mio.
C’era una volta una coppia di pastori che aveva un figlio, un ragazzotto sui diciassette anni a cui non avevano mai voluto bene. Tutti i giorni lo mandavano a badare il gregge. Gli davano un pezzo di pane nero e via, nel bosco con le pecore.
Un giorno un agnello cadde in un botro senz’acqua e morì sul colpo. Questa disgrazia fu il pretesto per sgridarlo, picchiarlo e allontanarlo da casa per sempre: se fosse tornato, il babbo lo avrebbe ammazzato.
Lo sfortunato andò via in lacrime, senza sapere dove andare per quella notte e tutte le altre.
Camminò finché non trovò una grande pietra cava, raccolse tante foglie secche e si fece un giaciglio. Lì cercò di riposare, nonostante la paura del buio ma, soprattutto dei giorni futuri. A un certo punto il ragazzo udì la voce di un uomo che reclamava il suo rifugio; tutto spaventato raccontò allo sconosciuto le sue disavventure e lo pregò di farlo restare per la notte. L’uomo acconsentì e, fu molto contento di quel materasso di foglie che il ragazzotto gli aveva fatto trovare. Il giovane poi si fece piccolo per non dare noia al padrone di casa. La mattina l’uomo aveva dormito così bene che pensò di ricambiare il favore con dei regali. Così, mentre lo sfortunato già si preparava piangendo al suo cammino incerto, gli consegnò un tovagliolino di lino capace di soddisfare ogni stomaco, bastava dispiegarlo e ordinarli il desinare. Aggiunse una scatolina che gli avrebbe elargito una moneta d’oro, ogni volta che l’avesse aperta. Per ultimo gli donò un organino che, quando veniva suonato, faceva ballare tutti.
Il ragazzotto, un po’ dubbioso, prese i tre regali e iniziò il cammino. Un passo alla volta arrivò in una città dove si preparavano grandi feste e giostre, il Re aveva proclamato che chi fosse stato pieno di quattrini avrebbe avuto modo di giocare con sua figlia e, in caso di vincita, l’avrebbe avuta in moglie. Per il pastorello fu l’occasione di mettere alla prova la scatolina. L’aprì e chiuse tante volte finché non ebbe i soldi per comprarsi un corredo degno di un nobile e le monete necessarie per la caparra. Si presentò come il figlio del Re del Portogallo e gli fu permesso di gareggiare con la fanciulla. Ebbe la fortuna al suo fianco poiché vinse in tutti i giochi, anche quelli che non conosceva e così fu dichiarato sposo della principessa.
Il giovanotto essendo abituato a una vita misera aveva modi da sempliciotto e, questo insospettì il Re che, all’istante, inviò dei cavalieri in giro per valli e paesi in cerca di notizie. Questi scoprirono presto che il ragazzo non era figlio di nessun re.
Il novello sposo finì imprigionato nei sotterranei del palazzo, dove trovò altri diciannove carcerati.
Chi lo accolse in malo modo, chi ne ebbe pietà ma tutti avevano fame: ricevevano ogni giorno solo pane nero e un secchio di acqua del pozzo. Il giovane non ne fu turbato, aprì il tovagliolino e ordinò un desinare per venti convitati e tutti furono accontentati e ben nutriti. Così fu per i giorni a venire, tanto che le guardie si stupirono di come i prigionieri fossero in buona salute, nonostante non toccassero né il pane, né l’acqua nel secchio. Anche il re volle vederci chiaro e, all’ora di pranzo entrò nella cella. Il ragazzo dispiegò il tovagliolino e subito ecco un bel pranzo per ventuno persone. Il Re dalla meraviglia gli chiese subito in dono quell’oggetto e il giovane acconsentì, a patto che potesse dormire per una notte con la principessa. L’accordo fu stipulato alle condizioni del Re: le finestre dovevano restare aperte, furono messe otto guardie in camera e un lume acceso e, i due dovevano dormire ai bordi opposti del letto, senza sfiorarsi e così fu.
Al risveglio il pastorello fu rispedito in cella, dove tutti lo presero in giro, ma lui non si fece scoraggiare. Per mangiare bastano anche i soldi, così grazie alla scatolina per tanti giorni tutti pasteggiarono in abbondanza. Anche questa volta carcerieri e Re furono sorpresi da come pane e acqua non fossero toccati dai galeotti e, di nuovo il sovrano andò a vedere con i suoi occhi.
Una volta scoperto il secondo oggetto prodigioso, il Re lo chiese di nuovo in dono e, il ragazzotto in cambio domandò la stessa cosa. Le condizioni furono le medesime della prima volta e, al cantar del gallo, fu di nuovo dietro le sbarre senza nemmeno aver salutato la principessa ma, ancora una volta non si perse d’animo.
Ricordate l’organetto? Il figlio del pecoraio iniziò a suonarlo e all’istante tutti, proprio tutti iniziarono a ballare come matti: le cameriere, le guardie, il cuoco con il prete, il Re con i lacchè, anche i sudditi che passavano nei pressi delle mura reali. Quando il Re capì da dove proveniva quella musica stupefacente, a passi di danza entrò nelle prigioni e implorò il ragazzo di smettere di suonare, ma lui continuò finché il sovrano acconsentì a farlo dormire di nuovo con la principessa e, con il permesso di poterle fare tre domande. Le condizioni però prevedevano sempre le finestre aperte, il doppio delle guardie e due lumi accesi. Il Re raccomandò alla figlia di rispondere sempre no alle domande di quel furfante e poi tutti si ritirarono.
Una volta distesi alle due sponde opposte del letto il giovane chiese alla principessa se fosse normale dormire, nel cuore dell’inverno, con le finestre aperte e lei rispose di no. Dopo un po’ le fece la seconda domanda, ovvero se le piaceva avere gli occhi addosso di tutte quelle guardie e anche questa volta la principessa rispose no. La terza domanda fu se gradisse quei due lumi accesi durante la notte e, per la terza volta, la risposta fu un no.
Così con le finestre chiuse, senza le guardie e con i lumi spenti i due giovani, si avvicinarono, si abbracciarono e, vi lascio immaginare cosa avvenne.
All’indomani il Re fu informato dell’accaduto e immediatamente ordinò che al giovanotto fosse tagliata la testa. La figlia disse al padre che, quello che era accaduto non si sarebbe potuto cancellare e che erano così tanto innamorati che niente e nessuno sarebbe riuscito a dividerli.
A quel punto il Re, a uno scandalo, preferì il matrimonio. La cerimonia fu tra le più fastose e allegre di tutti i tempi. E così avvenne che da sfortunato pastorello si trasformò in un principe molto amato e che, un giorno, diventò anche Re.
Serena S. Madhouse
Più che essere alla moda mi piace passare di moda. E succede molto spesso ed è sorprendente la velocità con cui le persone ti avvicinano alle stelle e poi, un attimo dopo, ti lasciano cadere nel letame ma, per loro fortuna io amo il profumo del letame e non me la prendo troppo. Faccio una doccia e NON torno come nuova perchè… ogni caduta coincide con una cicatrice, forse invisibile alla vista ma così profonda da diventare indimenticabile. E, per essere sicneri, chi non dimentica diffcilmente perdona.
In questa novella il pastorello sembra aver dimenticato l’ingiustizia di essere nato non amato, il destino crudele si è trasformato in benevolo e poi in fortunato. E’ bastato che facesse un gesto di gentilezza nei confronti di se stesso, ovvero prepararsi un giaciglio dignitoso e confortevole per quanto possbile, con le foglie secche cadute dagli alberi. La dignità anche nei momenti di maggiore sconforto in questo caso è premiata, ma se oltrepassiamo i confini della Toscana, dove sono abitutati a piangere, disperarsi, chiedere aiuto come cosa dovuta, allora in pochi capiranno il senso di questa fiaba…