Fiori di Plastica

 

Le immagini qui sopra le ho scattate tra le colline pisane e la montagna pesciatina e parlano chiaramente della mia nuova passione: I FIORI DI PLASTICA.

Il fascino decadente, corrotto, quasi depravato che possiedono e esibiscono senza vergogna alcuna.

Simbolo di affetto accompagnato da pigrizia e un pizzico d’ignoranza, che non guasta mai…

Bisognerebbe chiedere ai poveri morti che li ricevono quanto conforto, sono in grado di portare questi prodotti dell’industria petrolchimica, di solito venduti a poco prezzo grazie allo sfruttamento dei lavoratori, ma non sempre questi fiori sono stati fotografati in qualche piccolo cimitero di montagna pieno di storie. Alcuni nel loro vaso, preso in prestito o rubato all’arte funeraria, gli ho fotografati di fronte a un immagine sacra di una casa contadina silenziosa e vuota, oltre alle pietre dei muri questi fiori che il vento aveva scomposto, che il tempo ha riempito di polvere rendendoli più affascinanti, alcuni erano usati come semplice decorazione profana in ambito domestico, per abbellire un luogo immerso nella bellezza della natura, com’è strana l’indole dell’essere umano che ricerca sempre nell’artificiale ciò che non vede nel naturale.

Anche questi fiori hanno storie da raccontare. Quale occhio li scelse, quale mano gli sistemò per poi abbandonarli e per quale motivo…

Simbolo dell’era che ci siamo lasciati alle spalle, i fiori di plastica simboleggiano la decadenza umana, il petrolio preferito a tutto il resto, la bellezza sintetica creduta erroneamente eterna…

L’era della decadenza ormai è giunta al termine, così i fiori di plastica giacciono abbandonati per sempre. Ormai trionfa l’Età delle Rovine. Penso, per restare nel confine di un cimitero, alla tomba devastata dai vandali di mio cugino F. Morto a 17 anni a causa di un ubriacone over 50. Sì, anche questo fa parte della vita che ci siamo lasciati alle spalle, oggi agli over 50 arrivano sanzioni perché hanno la lucidità di scegliere per il proprio bene, senza farsi condizionare da avidità e minacce, siamo proprio giunti alle rovine della società che fatico a definire “nostra”.

Come diceva in una sua canzone Victor Tsoi, tanti anni fa e prima di molte catastrofi, “Sono diventati tutti matti, sono tutti malati”. Aveva ragione, è vero.

 

Eccoci, infatti, immersi fino al collo in un mondo tanto folle quanto meraviglioso, soprattutto popolato da gente meravigliosa. Quelli che hanno il lasciapassare per ogni felicità terrena, senza il quale le loro vite sarebbero nulle. I paladini del benessere pubblico, sociale e economico. Possono andare ovunque, lavorano senza nessun controllo, e poi via, al ristorante, al cinema, al pub, in discoteca e perché no? Dopo aver preso un buon caffè al bar, con la loro mascherina di plastica piena di batteri, abbandonata brevemente sul tavolino che nessuno sanificherà, possono andare anche in un club di scambisti, di quelli raffinati, che poi ormai sono caduti tutti i tabù, insieme ai fiori di plastica anche lo squallore è diventato cool e, perdonatemi se farse abuserò di questo termine non italiano.

E se poi s’infettano (sappiamo bene, forse, di cosa), è semplice! Basta incolpare chi deve stare a casa, chi ha il sistema immunitario esattamente come la natura l’ha creato, chi semplicemente non frequentano.

Dare la colpa ai colpevoli meno probabili è diventata la nuova tendenza, ed è così maledettamente cool, appunto!

Così gli Ucraini possono lanciare le bombe generosamente donate dagli europei, tanto la colpa ricadrà sui russi. E se gli alberi bruciano? Pronunciare frasi come “Non accendete fuochi” o inasprire le pene nei confronti dei piromani, sono cose troppo novecentesche, ora bisogna incolpare i troppi alberi. Allora stanziamo subito o quasi un po’ di soldi per la deforestazione, che se poi qualche multinazionale volesse speculare sui nostri terreni collinari con coltivazioni intensive sarà tutto già pronto, zerbino compreso…

Facciamo finta che le nostre colline e montagne siano come quelle del Canada e della Transilvania, facciamo finta di non essere un paese mediterraneo a due passi dal Nord Africa e con zone già desertificate.

Sono andata fuori tema. Qui si doveva scrivere di fiori sintetici, romantici, melanconici e inquietanti. Di abbandono della retta via della normalità e di consumo del petrolio. La petrolchimica ha guadagnato tantissimo negli ultimi tempi grazie ai cosiddetti ambientalisti e ecologisti che hanno scelto di indossare le mascherine FP-qualcosa, quelle bianche che imbruttiscono pesantemente e fanno sembrare tutti degli uccelloni dementi e che, hanno sostituito il trend di quelle chirurgiche: verde corsia, altamente intristenti, soprattutto in ambienti dove si mangia. Mi viene in mente l’ospedale, allora mi si chiude lo stomaco, non mangio e… dimagrisco, già! Qui qualcosa di buono c’era!

Devo ancora trovare il lato positivo di queste qui ma, ci sono cose più urgenti da affrontare e controbattere, anche se ci tengo a dire che non le ho mai comprate e nemmeno indossate.

Bisogna ricordarsi di quanto siano inquinanti ma, voi continuate a incolpare le automobili a benzina o diesel per l’inquinamento atmosferico, ignorate invece l’apporto negativo che hanno i voli low-cost (che non hanno reso più intelligenti e open mind le persone) all’inquinamento atmosferico o il consumo di combustibili non rinnovabili. Che siamo diventati tutti matti lo dimostra la maggioranza illuminata dalla sacra luce verde del progresso, che oltre a indossare fieramente mascherine altamente dannose per l’ambiente anche durante le manifestazioni e le proteste di piazza, ignorano completamente (oppure fanno finta di farlo) gli sforzi, gli studi e i progressi reali e pratici che l’industria automobilistica ha compiuto nell’ambito dei motori a benzina e diesel, al fine di ridurre inquinamento e consumi, per non parlare poi della tecnologia ibrida, l’unica valida alternativa per un ecologista consapevole e sano di mente, ma…

Che regni l’ignoranza e l’elettricità e la sua FINE.

L’unica certezza è che al termine di tutto cresceranno fiori di campo dove oggi si producono quelli di plastica.

 

Serena S.

 

 

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