TOSCANA GOTICA #3

 

Toscana Gotica #3

Un’inizio degno della Toscana più gotica, storie d’infanzia finite male e sogni realizzati, ma anche concerti che ci hanno fatto innamorare e luoghi in cui ci siamo persi in un giorno di festa. Buona lettura.

Un po’ di tempo fa, dalle mie parti, in una piccola frazione di un comune della campagna pisana, un bambino di circa 11 anni ha pianificato il suo suicidio scegliendo il momento più opportuno, la modalità e scrivendo la canonica lettera di commiato. Dalla sua lettera e dalle testimonianze di chi lo conosceva, si capiva che quel gesto non era dovuto a motivi gravi, problemi insormontabili, disperazione o problemi di salute, era invece scaturito da una forte curiosità nei confronti di quella cosa di cui probabilmente aveva sentito parlare, in altre parole il suicidio.

Un gesto singolare di cui talvolta si sente parlare in televisione, al cinema, sul giornale, dagli amici dei genitori, dai genitori stessi, dalla poesia e spesso dal mondo della musica. Il fascino e il mistero possono arrivare a sedurci da qualsiasi cosa e i bambini, anche i più spensierati, sono spesso attratti dal melodramma, lo sapevano bene i giapponesi che tra gli anni ’70 e gli ’80 del novecento hanno regalato al mondo dell’infanzia (e non solo) cartoni animati con trame tristissime ma, allo stesso tempo, irresistibili e colti.

Così quel bambino cresciuto nei dintorni di Pisa, approfittò di uno di quei rari momenti di solitudine, perché quando hai 11 anni capita di raro poter stare a casa da solo e, quando capita, è sempre per poco…

Per guadagnare tempo, prima di restare da solo, si era preparato la merenda da fare dopo, si era avvantaggiato anche sui compiti per la scuola e aveva fatto quella telefonata al compagno di squadra, con cui si era messo d’accordo per gli allenamenti del giorno successivo. Il bambino era un ottimo pianificatore, un talento naturale, e poi finalmente quell’esperienza insolita, quel gioco proibito e tanto affascinante: il suo suicidio.

A 11 anni ancora non è sviluppato negli esseri umani la piena comprensione del significato di una parola fondamentale per la nostra vita: irreversibilità. Non ci è dato comprendere in pieno il significato dell’irrimediabile irreversibilità di certi eventi, come la morte, ad esempio.


Aprile, un mese che sembra una grande festa. Le feste comandate e quelle spensierate, le tavole imbandite, le fiere del bestiame, le bandiere che, nonostante i tradimenti, qualcuno ha ancora voglia di sventolare e la voglia di scappare, sempre.

Il bello dell’abbondanza orgiastica delle feste è che, il giorno dopo, quasi mai c’è bisogno di cucinare, per chi resta e per chi scappa. C’è una villa maledetta che maledetta non è per niente, andiamo là anche se ci sarà sicuramente troppa gente, è il giorno che segue Pasqua.

E invece non c’è nessuno. Sole e aria fresca in un verde che incanta e fa ben sperare: è per lo più grano.

Per arrivare alla meta del nostro cammino seguiamo viottoli, qui nascono i primi fiori primaverili, dove ronzano le api e altri insetti e non mancano le farfalle e poi quando la campagna sfugge alle cure dell’agricoltura e leggermente sale e, si trasforma in collina, si inselvatichisce. La natura riprende sua libertà, i suoi spazi. La casa abbandonata si trova comodamente appollaiata alla sommità di una collinetta, è lì che quasi sicuramente un giorno crollerà definitivamente e si trasformerà in un meraviglioso groviglio di edera.

L’edificio che troviamo alla sommità della collina risale ai primi anni del ‘900 e fu fatto costruire dalla famiglia Germiny. Questa famiglia facoltosa, come tante altre da queste parti, faceva parte della “Società Boracifera Larderello”, insieme al conte De Larderel, proprio colui che ha dato il nome al luogo più venerato dai freddolosi: Larderello, con i suoi soffioni, il teleriscaldamento, l’assenza di caldaie nelle case e di bollette nelle cassette della posta ma… Torniamo alla storia di questa villa che, nonostante gli anni e l’abbandono e le bugie, le mode e anche il vandalismo, è ancora oggi ricca di fascino e scorci suggestivi, per non dire pittoreschi, degni quindi di essere immortalati in un dipinto o in una più modesta fotografia…

Quello che è evidente di Villa Sant’Ottavia sono la grandezza e le numerose finestre, queste invitano gli esterni ad entrare, così anche dentro le pareti interne è presente l’ambiente circostante, le verdi colline e, oggi, gli arbusti che vivono in simbiosi con le pietre dei muri. Il grande salone del primo piano, oltre ad essere l’unica stanza che ancora conserva una parvenza di pavimento, regala l’illusione ottica di essere circondati da un giardino in cui si può passeggiare semplicemente uscendo da una delle portefinestre ma, non è così! Immagino le feste che qui si tenevano immerse nell’architettura liberty, negli arredi eleganti e nella bellezza dell’operosa campagna di Pomarance.

E proprio le finestre sono state i soggetti che ho preferito fotografare.

Il giardino abbandonato della villa con i suoi grandi pini, che ci ricordano che il mare non è troppo lontano e ancora meno lontana è (o era) la Maremma Pisana, ci accolgono per una tranquilla merenda sull’erba, con tanto di cocktail improvvisato. Non potevamo davvero desiderare di meglio. Mentre corrono tristemente sul web storie assurde di spettri, morti misteriose e violenze…

Come si legge nell’unico blog degno di rispetto che tratta l’argomento “Sant’Ottavia”, la sua storia e le sue tradizioni ormai perdute ma non completamente dimenticate, la fama di questa grande e elegante dimora ha preso una piega assurda che ha portato in questo luogo decine di curiosi e, con loro ragazzini delle medie che vandalizzano quel poco che è rimasto (dopo innumerevoli razzie) e scrivono sui muri frasi violente, assolutamente false e cognomi delle loro compagne di scuola, pensando di fare chissà quale bravata!

Villa Sant’Ottavia è una villa stregata ma senza streghe, una villa maledetta ma senza nessuna maledizione se non quella della stupidità e dalla mancanza di avere di meglio da fare di chi scrive tante fandonie su internet…

Se volete saperne di più Toscana Gotica vi consiglia di leggere quanto scrive “La carrozza del Gambini” e, come si dice nella campagna pisana, bonanotte ar secchio!

E un sabato decidiamo di scappare ancora più lontano, verso la provincia di Reggio Emilia, dove abbiamo trovato posto per una notte in un casolare dal fascino retrò, anche se la nostra vera destinazione è l’ex scuola elementare di San Martino sulla Secchia, poco distante da Carpi. Un edificio, un tempo diroccato, che è stato concesso a dei volontari e trasformato in un luogo in cui si fa cultura e aggregazione. L’Ekidna in mezzo alla campagna emiliana, è un luogo davvero affascinante, per la sua architettura anni ’30, per la nebbia che spesso l’avvolge e per gli eventi che ospita, soprattutto quando sono organizzati da Grotesque!

Si va per assistere a un bel concerto, ballare, riabbracciare Nicoletta e Gianfranco e poi scopriamo dal vivo i NOKTVA, che ci hanno conquistato, oserei dire fortunatamente stregato!

Un gruppo che sul palco ci sta benissimo, siciliani e si sente tutto il caldo fermento gotico che, troppo spesso, il sud che ne è così ricco ne è anche un po’ geloso, è tenuto sottom chiave, invece ne abbiamo tanto bisogno! Cercateli, ascoltateli, vi lascio qualche traccia…

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Così si conclude questo terzo appuntamento con Toscana Gotica, speriamo di trovare al più presto il tempo per un nuovo episodio del Glam trekking, lo so che lo state aspettando ma… nel frattempo potete tenervi allenati ballando!

Un istante fa è arrivata una sorpresa bellissima da Grotesque Modena. Il 20 maggio la prima serata Grotesque a Villa Canapa, a cui sono stata invitata e ne sono davvero, goticamente contenta, anzi di più!!! Quindi, prendete spunto e sconfinate in Emilia Romagna!

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