Domnisoara Skal- cap.5 – romanzo

Le avventure di Domnisoara Skal

/2006/

(capitolo quinto)

 

La Luna Blu

/dal diario di Skal/

Il conte Dracula si riferiva a un curioso fatto, un fenomeno naturale che si manifesta ogni tre anni, quando in uno stesso mese di presentano due pleniluni. Questa Luna in più, la tredicesima appunto, secondo la shamanesimo, si chiama Luna Blu. Dall’analisi fatta dal conte la notte in cui per la famiglia Rulikowscky gli eventi erano precipitati tragicamente, in cielo governava proprio una Luna Blu. Quasi sicuramente nel corso del tempo, ogni notte di questo peculiare plenilunio, era possibile entrare in contatto con quello che restava dello spirito di questa famiglia, ormai estinta da secoli. Per anni a nessuno era mai importato di loro, della loro triste storia e della fine violenta che gli era stata imposta; ma per qualche misteriosa ragione loro erano entrati in contatto con me e, qualcosa di molto forte mi aveva spinto a non fermarmi di fronte a quel pauroso episodio che era accaduto nel parco. Avrei potuto dimenticare tutto, come si fa con un brutto sogno o una suggestione, per essere stata da sola in un luogo poco raccomandabile, nel cuore della notte, invece…

Non riuscivo a credere che quel luogo in cui si andava per passeggiare tranquilli, distrarsi dai problemi della vita e sentirsi più vicini alla Natura, potesse essere stato teatro di fatti tanto gravi. Ancora prima che diventasse luogo della dimora dei principi Rulikowscky quelle verdi radure erano state testimoni di tremende ingiustizie: decine e decine furono i roghi in cui donne innocenti erano state bruciate, addirittura delle bambine… Quella terra era stata nutrita con la loro cenere, resti di vite che non avrebbero mai trovato pace, almeno non in questo mondo. Quando il principe Zygmunt e la sua consorte, Elisabetta, ignari di questi fatti avevano scelto quel luogo per erigervi la loro nuova residenza, lussuosa e piena di citazioni di quella che era stata la prima e più felice parte della loro unione; il sole e i suoi raggi rincuoranti sembravano essersi spenti per sempre su quei terreni. L’iniziale e tragico nubifragio che aveva strappato Elisabetta e i due figli maschi all’affetto dei loro cari, durante la traversata in mare, e gli anni infelici e solitari che avevano portato sull’orlo della pazzia l’unica figlia rimastogli, la povera Simina.

Inizialmente la cittadinanza gli aveva accolti con favore, i pochi nobili che si risiedevano in città all’epoca erano poco più che pionieri in cerca di fortuna, fortuna che però sorrideva di più alle classi borghesi, più ciniche e arriviste, ma anche più al passo coi tempi. Anche la servitù che i Rulikowscky avevano assunto sembrava tra le più sincere e affezionate, ma i lunghi anni di apatia e sconforto, l’aria sempre luttuosa e spesso folle che si respirava nel loro palazzo, mutò per sempre questi iniziali sentimenti positivi. Da ogni parte arrivarono voltafaccia e imbrogli. Furono derubati dalla governante e dalle cameriere di quasi tutti i gioielli e di molti oggetti preziosi; il segretario del principe strappò loro l’atto di proprietà del castello e dei terreni circostanti e, grazie a lui, uomini d’affari senza scrupolo, con poche e sleali mosse, si impadronirono di tutto. Omar, il fidato servitore arabo, nonostante il dolore per le sciagure vissute, aveva mantenuto la lucidità necessaria per rendersi conto di quanto stava accadendo ma, in parte a causa dello stato dei suoi padroni e, in parte per le sue origini e il suo credo religioso, fu rozzamente ucciso da dei sicari. Temo che quelle macchie sul manoscritto tradotto da Emil siano tracce del suo sangue…

Rabbrividii al pensiero di questa ennesima barbarie che i miei concittadini erano stati capaci di commettere. Pensai al povero Omar, a tutti i fatti incredibili e assurdi che avevano dovuto vedere i suoi occhi, l’oscurità in cui aveva trascorso gli ultimi anni della sua esistenza, quell’ombra che aveva sostituito per sempre il calore del sole di cui era figlio. E dopo pensai a Simina e la vidi inconsapevole e innocente. Capace di rendere reale il sogno di ritrovare la madre perduta, anche se solo per pochi tragici istanti.

Quella notte, ormai persa nel tempo, dopo che suo padre e Omar rientrarono in casa e tutto sembrava malinconico ma tranquillo come sempre, quando le luci si spensero qualcuno entrò nella residenza dei principi, qualcuno pagato per uccidere. Il primo fu Omar che aveva colto sul fatto i sicari, complici del segretario di Zygmunt e, dopo toccò allo stesso principe. Si era rifugiato nella torretta del castello, adibita a osservatorio, per trascorrere l’ennesima notte insonne, neanche una lanterna illuminava quella stanza, ma quando sentì dei passi salire minacciosi la stretta e tortuosa scala a chiocciola, lui accese una candela. Cercò di difendersi, forse pensando alla figlia ma riuscì solo a strappare qualche istante in più a quella vita sfortunata che gli era stata inflitta dal fato. Gli uomini lo strangolarono e lo lasciarono lì senza rendersi conto che, nella lotta, la candela era caduta per terra e presto sarebbe divampato un incendio… Forse alimentato dai ricordi di quei roghi ingiusti che si erano tenuti su quella terra, quell’incendio fu violento e impossibile da domare; in breve del palazzo non rimasero che resti anneriti e un grande parco immerso nella fuliggine e nella desolazione. Di Simina si erano perse le tracce, può darsi che nessuno in città ricordasse che il principe avesse con se una figlia, dato che non usciva mai dalla proprietà e usciva di casa solo al tramonto, per passeggiare lungo il torrente.

Furono molti a restare delusi, le mire dei più, oltre che sul terreno erano anche sul ricchissimo castello e, invece, non restavano che ceneri e travi annerite. Negli anni seguenti più di una famiglia cercò di costruire in quella zona dannata la propria residenza ma, niente aveva l’aria di essere lì per durare o per rendere felici le persone. Una sorta di maledizione mescolata alla vergogna che gli abitanti provavano per quelle azioni malvage e ingiuste e, di cui, nessuno voleva parlare. Il conte Dracula dopo averci narrato questi fatti si alzò dalla sua sedia e si avvicinò a una parete dello studio, proprio dove erano appese le scene campagnole. Iniziò a togliere dei listelli di ottone, sottili e lunghi e, come per magia, aprì la parete come si sfoglia un libro. Quel primo pannello che avevamo avuto davanti agli occhi fino a quel momento nascondeva un’altra parete, e così apparvero dei dipinti molto più grandi e suggestivi.

La famiglia Rulikowscky al completo, prima della loro nefasta partenza. La loro residenza natia e un bellissimo e commovente ritratto di Simina, doveva avere circa quattordici anni, aveva uno sguardo radioso e gentile, sul suo grembo era accoccolato un tenero gatto che mi ricordò tantissimo il mio Pergolino.

Mancava meno di una settimana alla notte della Luna Blu e mancavano ancora dei tasselli a quella storia, il conte doveva tornare dai suoi ospiti, nonostante le nostre insistenze non ci svelò altro. Prima di tornare nel salone però mi consegnò un pacchetto, forse conteneva un libro e, a causa della mia solita curiosità, avrei voluto precipitarmi a casa  e aprire quell’inatteso dono, anche se il conte ci invitò a restare.

Anche a Emil l’idea di restare dai “Dracula” ha fare salotto non apparve così allettante: avevamo entrambi un unico obiettivo in quei giorni ed era, in un modo o nell’altro, entrare in contatto con i membri di quell’antica e sventurata famiglia. Probabilmente eravamo, e lo siamo ancora, due visionari ammalati di mistero e di sovrannaturale, ma in tutta quella vicenda io avvertivo solo tristezza e una malinconica vera poetica che ancora richiedeva di esprimersi. Il principe Zygmunt, per chissà quale ragione, aveva costretto l’intera famiglia a lasciare la terra in cui avevano trovato fortuna e benessere e, per rendere meno penosa questa necessità, aveva fatto ricostruire un palazzo del tutto simile a quello in cui la piccola Simina e i suoi fratelli scorrazzavano fin dalla più tenera età. Mi si spezzava il cuore al pensiero di tutti quei buoni propositi, di tutti quei sogni persi tragicamente. Inoltre, guardandomi in giro, era come se tutta la bontà che avevo avvertito in quella città fosse svanita, intorno l’aria era fredda e grigia e forse anche pesante. C’erano solo buoni motivi per provare disprezzo per tutto quello che avevo intorno, eccetto che per Emil.

Avevamo deciso di fare qualche passo a piedi, per riflettere un po’ sugli ultimi eventi, avremmo poi preso la carrozza di servizio pubblico un paio d’isolati più tardi. Per strada si incontravano ancora quei burocrati che rientravano a casa: ma avevano smarrito i connotati dei retti padri di famiglia, che affrettavano il passo unicamente per poter abbracciare il prima possibile i loro teneri familiari. I loro occhi ora brillavano come stelle malefiche e le loro mani macchiate d’inchiostro stringevano con avidità le loro cartelle di cuoio piene di ricchezze e imbrogli. Forse mi ero fatta condizionare troppo dalla storia che mi era stata narrata pochi istanti prima, eppure queste mie impressioni sembravano reali. Anche Emil pareva rabbrividire al pensiero di avere ancora a che fare con quella gente capace di uccidere e di definirsi irreprensibile allo stesso tempo. L’ipocrisia inquinava la notte e le nostre vene… Restammo in silenzio finché Emil, all’improvviso, esordì con questi versi…

“Voglio riempire il mondo di pipistrelli/ inebriarmi di violaceo vino,/ e perdermi nel labirinto/ di pensieri perduti, su spettrali pareti di nulla…”

E, con fare teatrale, s’inchinò davanti al cancello di una delle ville più lussuose del circondario. Ci mettemmo a ridere per spezzare quell’opprimente senso di tensione. Molte cose avevano un senso, almeno così sembrava. Qualcosa scorreva fluido e chiaro nelle nostre menti. Quel mondo cinico, opprimente, superficiale aveva sempre annoiato entrambi e… così tanto! Avevo sempre fatto i salti mortali per tenermene alla larga e mi rincuorava che anche per Emil fosse stato lo stesso. Il suo bel profilo mi augurò la buona notte, poco dopo, davanti al portone di casa. Un tenero gatto mi attendeva e un buon profumo di cannella. Anche se un po’ spossata non potei certo andare a dormire senza prima aver aperto il pacchetto del conte Dracula.

 

(le avventure di Skal continuano…)


 

 

 

Nota

Cercherò di raccontarvi brevemente (e non sarà facile) la vita di questo singolare ospite dei Monti di San Giuliano, da cui ho preso in prestito le generalità (solo quelle, come scoprirete leggendo!) per uno dei protagonisti del mio romanzo “Le Avventure di Domnisoara Skal”: Sigismondo de Bosniaski ovvero Zygmunt Grzymala Bosniaski, detto “Bugnasche” e da molti soprannominato “Il Polacco”.

Sigismondo nasce il 31 marzo 1837 a Krosno, nel territorio di Cracovia in Galizia, figlio del borgomastro della città; della sua fanciullezza si sa poco sennonché frequentò il liceo a Cracovia e che, subito dopo intraprese gli studi universitari alla famosa Jagellonica. Si laureò in medicina nel 1862 discutendo una tesi, che già tradisce la sua propensione per le scienze naturali, dal titolo “Descriptio Muscarum Frondosorum Tatre”. Esercitò la professione di medico nella sua città e la sua passione per la paleontologia e la geologia facendo lunghe camminate sui monti Tatra e Beskidi.

Nel 1863 fu nominato membro della Società Zoologica e Botanica di Vienna. Fu proprio grazie a un congresso in questa città che Zygmunt e Elisabetta, colei che diventerà la compagna della sua vita, si incontreranno.

Purtroppo la sua ricca collezione di fossili andò distrutta a seguito di un incendio sviluppatosi a Krosno ma, nonostante questa sventura, non si perse d’animo e riuscì a raccogliere un numero significativo di lastre ittiologiche, comprendenti ben 91 specie e 33 generi, che poi avrebbe conservato gelosamente negli appositi locali della sua villa sul Monte Castellare.

Anche il cuore di Sigismondo fu infiammato dallo spirito del nazionalista, così come accadde a tutto il popolo polacco, e nel 1864 prese parte alla guerra d’Indipendenza con il grado di ufficiale. La sua fu una breve partecipazione a causa di una brutta ferita che la interruppe. La rivolta promossa dalla borghesia radicale e dagli ambienti intellettuali di Varsavia (i “Rossi”) iniziò nel 1863 e sfociò nel sangue agli inizi del 1865. In questa sede non dilunghiamoci sui motivi che portarono il popolo polacco a ribellarsi, anche se l’argomento presenta molti spunti storico culturali interessanti (legami con la “Giovane Italia” di Mazzini e con la poesia del movimento romantico polacco), e continuiamo a fare luce sulla vita di Sigismondo.

 

Nel 1865, a 28 anni, ebbe la direzione della stazione termale di Jvonica e, cinque anni dopo, diventò redattore di un periodico della stessa stazione termale. Nel frattempo continuava con la sua passione più grande, a Vienna iniziò a studiare i materiali della sua collezione Carpatica e, proprio in questo periodo, la sua relazione con Elisabetta si fece più appassionata, così nel 1870 Sigismondo (ufficialmente suddito austriaco ma con nascita e sentimenti polacchi) raggiunse a Viareggio la sua Elisabetta. Sigismondo sentiva nei confronti dell’Italia, già unificata dal 1861, sentimenti fraterni e, proprio nella stazione elioterapica toscana, strinse amicizia con il geologo Meneghini, che deteneva la cattedra di mineralogia e geologia all’Università di Pisa. Fu proprio Meneghini a consigliare a Sigismondo di trasferirsi nella località termale di Bagni di San Giuliano per curare i postumi delle sue ferite, esattamente come aveva fatto Giuseppe Garibaldi dopo l’Aspromonte.

 

L’anno seguente, grazie alla cospicua fortuna di Elisabetta, riuscì a trasferirsi in modo definitivo in Italia. Nel 1873 acquistarono un vasto terreno selvatico e roccioso sul Monte Castellare, tra Asciano e Bagni di San Giuliano. Per il periodo che servì a erigere la loro dimora, i due amanti abitarono, insieme alla dama di compagnia Eloisa Madan, in quella che era via della Pace; qui sorse il quartier generale in cui Sigismondo seguiva i lavori per la futura Villa Belvedere, da lui stesso progettata e costruita dal maestro muratore Serafino Antonini. Nello stesso periodo si fece promotore della geologia, approfittando della sempre più importanza che stava acquisendo in campo scientifico.

 

Il de Bosniascki partecipò il 29 settembre 1881 alla storica seduta in una sala dell’Archiginnasio di Bologna, durante la quale i professori Meneghini, Cappellini, Quintino Sella, De Stefani e Taramelli fondarono la benemerita Società Geologica Italiana.

Nell’atto costitutivo spicca l’elegante firma di Sigismondo de Bosniascki che, fino al 1916, sarà socio della Società Toscana di Storia Naturale.

 

La storia del nostro “Bugnasche” continuerà, intanto si va verso il mare…

 


 

Lunedì primo novembre 2021, piove, piove, piove ma poi smetterà e noi andiamo verso il mare, non proprio il mare. Lo Stabilimento Termale Acque della Salute che, non godono di ottima salute. Fascismo, trascuratezza, miseria, disinteresse, incendio e poi anche un po’ Livorno…

 

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