La Trilogia Nera per la Notte delle Ombre

Trilogia Nera

(vecchi racconti della palude)

LOTTIE (La Cavernicola)
/1998/

Tutto iniziò così, dopo una tempesta spudorata, arrivata senza preavviso e che, immediatamente, si era impossessata con violenza della Foresta Incantata. Notte da lupi. Lottie aveva appena fatto in tempo a chiudere il garage; dentro c’era la sua vecchia motocicletta, la sua rumorosa compagna di avventure e giochi. Un fulmine aveva ferito quel cielo nero, era stato spaventoso. In casa era buio come fuori. La corrente elettrica era saltata. Doveva cercare una candela ma, in quel disordine, era già difficile trovare qualcosa con la luce del sole.
Prima del suo arrivo quella casupola era stata abitata da due fate. Una di loro aveva i capelli di fuoco e gli occhi di muschio, alta e prorompente, dormiva nella stanza con le pareti rosa, la stessa stanza che ora Lottie usava per i suoi cimeli di caccia. L’altra era sottile, emaciata, con capelli sfumati di blu ottanico, la sua bocca era quella dei vampiri, la sua stanza era quella esposta a nord, umida, fredda, quella dove Lottie riposava. Le due fate erano state scacciate dalla strega da viso di patata che viveva nel bellissimo palazzo bianco, giù in città, vicino alla chiesa. Lottie non aveva mai capito che male potessero fare quelle due creature notturne. Anche suo padre, prima di morire ubriaco con la gola trafitta da una bottiglia di pessimo whiskey, le aveva raccontato di quanto fossero portentose le loro oscene magie.
Finalmente un mozzicone di candela cadde ai piedi di Lottie, poteva fare luce sulla situazione che non era delle migliori.
Il pavimento era sporco di fango e sangue, dal soffitto filtrava copiosamente l’acqua del temporale, lo specchio coperto da un telo rosso non poteva specchiare il suo essere scossa e in tremendo disordine. Lei preferiva specchiarsi nelle acque stagnanti della palude dietro la baracca. Vicino c’era anche una miniera abbandonata da decenni, era rifugio di molti ragazzini, teppistelli che non erano mai entrati in una scuola e, forse, proprio per questo avrebbero avuto un futuro radioso. Andavano lì per spiarla, lei li lasciava fare divertita, spesso le lasciavano dei disegni sulle pareti della baracca, le ricordavano i racconti di suo padre. Poi un rumore, sordo, violento, coprì il sibilo selvaggio del vento. Da qualche parte, nella foresta, un albero cavo era cibo per fiamme infernali, ci abitava un vecchio gufo. Lottie cadde per terra, sbattendo la testa sul pavimento.
Quando riaprì i suoi grandi occhi color smeraldo il mozzicone di candela era come un laghetto ghiacciato di cera, aveva il viso sporco di sangue appiccicoso e freddo, il fango fino dentro la bocca.Fuori restava solo l’erba domata dalla pioggia e dal vento, e lo scheletro annerito di un rapace notturno.
Lottie afferrò il suo amante più fedele: il fucile. Strinse il nodo alla sua lacera camicia a quadri ed inforcò la moto blu notte. Si diresse verso il palazzo bianco, giù in città, vicino alla chiesa…


Il Lupo Solitario

/1998/

Sono nata triste e sola. Una vita inscatolata, chiusa nella mia stanza. La stella infuocata si infrangeva con violenza contro le pareti ma non poteva entrare. Tutti aspettavano che perdessi il senno definitivamente, quando avvenne tutti mi dissero addio, presi un po’ di soldi e me ne andai.

La notte era buia come la tana di un lurido topo di fogna, camminavo trascinando il mio corpo infelice, finchè trovai un rifugio. Era un vecchio teatro, solo l’ombra di se stesso, ma mi somigliava imbruttito com’era dal tempo e dalla corruzione. Era abitato da strana gente, avevano occhi cerchiati di scuro e bizzarre pettinature scolpite. Diventammo amici e fratelli, e mi dissero che potevo restare.

Creai un giaciglio con i tendaggi vermigli dell’antico sipario e scrissi il mio nome sui muri col mio sangue. Durante il giorno stavamo barricati in una notte artificiale piangendo le nostre lacrime sulle siringhe buttate per terra, ci piaceva pensare alla morte, forse eravamo folli narcisisti, felici e divertenti.

Al tramonto potevamo uscire dal nostro onirico regno, e correre nella tempesta dei nostri cuori malati, attraverso città fantasma abitate solo da sporcizia e spazzatura. Ci sdraiavamo sotto le regge dei corvi, alberi scheletrici, senza ombra. Fu un periodo spensierato, potevo seguire il mio pensiero e, per la prima volta nella mia vita, avevo incontrato la libertà, ma…

Stordita dall’odore del cherosene e con i postumi di una sbornia, abbandonai i miei fratelli senza rendermene conto. Vagavo come in un sogno, inseguendo una visione. Poi uscii dalla città degli Angeli, per non tornarci mai più.

Già pregustava il mio sangue, il lupo Solitario. Mi aspettava all’inizio del bosco, aveva ululato alla Luna per tutto quel tempo, finchè non mi vide.

La sua bellezza arruffata era la cosa che volevo, me ne resi conto, ma io potevo offrirgli solo il bianco delle mie braccia. Mi piaceva l’espressione malvagia della sua bocca, mentre si rosicchiava le unghie portando via la lacca nera.

La prima volta che vidi i suoi occhi divampavano fiamme e pensieri blasfemi. La sua voce era suadente e calda, sapeva che non avrei resistito a lungo. Nascondeva due siringhe nelle tasche del cappotto, le nostre fedi nuziali. Con lui sono felice, con lui posso osare e immaginare di essere me stessa.

Sorseggiando il mio sangue disse che ero la sua eroina e che nessuna era come me. Io gli credetti…


La mia Valle!

/1998/

Quando vivevo ancora nella valle, ora sono qui tra il cemento che odio, vedevo un sacco di cose strane accadermi intorno. Io me ne ricordo bene e, poi perchè dovrei dimenticarle? Sono così belle! Spesso le racconto in giro, qualche volta mi stanno a ascoltare, ma lo capisco che certe cose non interessano a nessuno.

C’era la storia di Patty, venuta su come un maschiaccio, sapeva arrampicarsi sugli alberi e non aveva paura di niente. Un giorno passeggiava da sola nella Palude del Non Ritorno, incontrò un uomo vestito molto elegante ma tutto sporco di fango. Disse che era un commesso viaggiatore e che si era smarrito. Lei si offrì di aiutarlo ma, una volta usciti dalla palude, di quel commesso viaggiatore non rimase che un cumulo di cenere e qualche ossicino!

Patty, per la prima volta, provò un orrore così grande che salì urlando sulla sequoia più alta della sua regione e, non scese più. Credo che ancora oggin si possa vedere il suo vestitino giallo svolazzare, lassù tra i rami, ma anche Patty è ora solo un cumolo di ossicini.

Per non parlare del vecchio Clark, piccolo essere ricurvo, nei suoi occhietti vispi viveva il Demonio che, a quanto mi disse un venerdì, ci stava benissimo! I suoi migliori amici erano i cadaveri! Ne aveva visti davvero tanti, il vecchio Clark!

Il Cimitero dei Salici traspariva appena in lontananza dalla baracca in cui abitavo ma, in certe notti insonni, potevo vedere il meraviglioso spettacolo dei fuochi fatui e Clark, là in mezzo, danzava selvaggio e tetro, gridando incomprensibili frasi ma, anche lui aveva i suoi sentimenti…

Si presentò una domenica mattina davanti al reverdendo Smith, la chiesa gremita, gli abiti a festa, un bel tripudio di bigottoni, insieme al cadavere di Miss O’Hara, splendida ventenne che non aveva mai sfiorato le labbra di un uomo, almeno quando era morta all’incica ottanta anni prima.

Si sposarono la O’Hara e il signor Clark, tra il disgusto generale e, dopo che quel vecchio pazzo innamorato ebbe minacciato il reverendo Smith con un fucile a canne mozze. Fu il matrimonio più esaltante a cui abbia mai assistito!

Be’, si è fatto tardi e sto soffrendo. Il mio cuore è esploso il giorno in cui mi hanno strappato dalla mia amata valle. Si può smettere di vivere anche senza morire, non dimenticatelo…


Se dopo la lettura di questi vecchi raccontini non ne avete ancora abbastanza, potete incupirvi ulteriormente con questa breve selezione di video tratta dai miei “videoclip preferiti nel corso degli anni“. Si va anche un po’ indietro nel tempo e nella storia.

Buona visione, buon ascolto…


Se arrivati fino a qui avete ancora di leggere e di ascoltare musica e, magari di indossare i vostri abiti più neri e di dipingere sul volto tutta la vostra felice tristezza, allora proseguite il cammino.

“Le avventure di Domnisoara Skal” è un romanzo completo che ho scritto anni fa e che è perfetto per questo periodo dell’anno, un racconto autunnale, misterioso e esotico che conduce fino al confine ultimo che separa la vita dalla morte. Potete leggerlo tutto d’un fiato seguendo questo COLLEGAMENTO, oppure seguite l’angelo della morte…

E insieme a lui date il via alle danze…


E poi, finalmente, uscite di casa…

C’è una festa che potrebbe fare al caso vostro!

Per maggiori informazioni:

INTO THE DARKNESS


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